Benzidamina collutorio e placca dentale:
nuove evidenze di efficacia anti-Candida albicans
Nel microbiota orale di contaminazione della placca dentale sono presenti centinaia di differenti specie di batteri, funghi, protozoi e Archaea. La placca contaminata è il principale agente eziologico della gran parte delle malattie paradontali, ovvero dei tessuti parodontali (gengiva, legamento parodontale, osso alveolare, cemento); la sua presenza è inoltre necessaria per lo sviluppo della carie.
In assenza di una corretta igiene orale personale (spazzolino, filo interdentale, collutorio) e di controlli periodici odontoiatrici (con rimozione meccanica di placca ed eventuale tartaro, ovvero della placca “mineralizzata”), la contaminazione è particolarmente rapida e rende la placca sempre più complessa, fino alla formazione di una struttura community-like, una sorta di microambiente interattivo particolarmente resistente alle difese organiche e agli agenti antimicrobici (vedi anche Rassegna della Letteratura 5/2023) (1).
Le ricerche più recenti sono focalizzate sul particolare ruolo dei miceti in questa “struttura comunitaria”. Molti di essi sono infatti causa potenziale di infezioni opportunistiche, soprattutto in soggetti con scarsa igiene orale e/o immunocompromessi per patologie croniche, ad esempio diabete, pneumopatie, nefropatie o sindromi da immunodeficienza acquisita. Preminente è la presenza di Candida albicans, un fungo spesso isolato nel biofilm e nel tessuto sottogengivale (solchi/tasche) di soggetti affetti da periodontite. Al pari di altri miceti meno comuni, la Candida si mostra particolarmente “aggressiva”, con rapida invasione dei tessuti parodontali correlata ad alcuni peculiari meccanismi patogeni e fattori di virulenza, quali (2,3):
- la capacità di aderire tenacemente ai tessuti dell’ospite, grazie:
- al passaggio (switching) – innescato da vari triggers – dalla forma saprofitica di lievito (yeast), presente anche in soggetti sani, a quella patogena opportunistica di micelio filamentoso (o micete propriamente detto), caratterizzata dalla formazione di ife (hyphae);
- all’aumento dell’idrofobicità della superficie del micelio, che ne favorisce l’adesione anche su superfici inerti (protesi dentarie, apparecchi ortodontici, ricostruzioni dentali);
- all’espressione superficiale di molecole a base proteica genericamente definite adesine, che rendono ancora più stretta l’adesione delle ife fungine all’epitelio della mucosa orale e alla superfice dei denti;
- la secrezione di numerosi enzimi idrolitici e tossine (un vero e proprio armamentario), in grado di attaccare le cellule ospiti, di mantenere una condizione infiammatoria nei tessuti contaminati e, più in generale, di promuovere la capacità di eludere le difese immunitarie sistemiche e intracellulari dell’ospite; da notare, inoltre, che le ife elicitano la produzione di citochine pro-infiammatorie;
- la secrezione paracrina di quorum sensing (QS – letteralmente “rilevamento del quorum”), molecole peptidiche (farnesolo e tirosolo, le principali) che assicurano lo scambio di comunicazioni tra i vari microrganismi della placca, regolandone a livello genetico la composizione quantitativa/qualitativa per rendere più efficace la risposta della “comunità” agli agenti terapeutici (4); in particolare, il tirosolo è considerato un importante fattore di virulenza, favorendo e sostenendo la transizione dimorfica (switching yeast-to-hyphae).
Evidenze recenti confermano che nella patogenesi delle malattie del paradonto un ruolo importante ha la coesistenza, con azione sinergica, di funghi e batteri ben noti per la loro patogenicità oro-dentale. Ad esempio, Porphyromonas gingivalis, un batterio anaerobico stretto, grazie alla presenza di Candida albicans riesce a sopravvivere anche in condizioni non favorevoli di aerobiosi (2,5). Inoltre, va segnalata un’altra importante sinergia per la possibile coesistenza nel biofilm della placca di Candida albicans e Streptococcus mutans, un batterio notoriamente cariogeno (6).
Pertanto, appare evidente la difficoltà di contrastare l’attività del complesso biofilm della placca e le infezioni che può determinare: i descritti meccanismi di difesa “comunitari” dei microrganismi di contaminazione (una sorta di scudo fisico-chimico) rappresentano di fatto una sfida impegnativa nella scelta della strategia di prevenzione e di terapia, considerando il rischio di comparsa di farmaco-resistenza e anche di recidiva della patologia orale/paradontale.
È dimostrato che collutori a base di benzidamina sono in grado di contrastare l’accumulo della placca e di ridurre l’infiammazione gengivale da essa indotta (vedi anche Rassegna della Letteratura 5/2023). L’attività anti-anti-infiammatoria di benzidamina è principalmente dovuta alla sua capacità di inibire la produzione e il rilascio delle citochine pro-infiammatorie TNF-α IL-1β (7,8). Meno numerose sono le evidenze sull’attività anti-microbica di benzidamina. In particolare, poco conosciuti sono i suoi effetti anti-fungini e, soprattutto, sulla particolare “virulenza” di Candida albicans (9).
Una serie recente di studi in vitro di un gruppo dell’Università di Modena e Reggio Emilia (Italia), coordinato dal Prof. Andrea Ardizzoni, ha fornito nuovi interessanti dati sul tema (9). Il modello sperimentale scelto dal team italiano è il ceppo CA1398 di Candida albicans portatore del reporter bioluminescente ACT1p-gLUC59 (10). Lo studio mirava a valutare gli effetti di un collutorio contenente benzidamina (da sola o in combinazione con cetilpiridinio cloruro) sui vari stadi del biofilm del fungo: adesione, formazione/maturazione, persistenza ed eventuale riformazione (regrowth) dopo esposizione “distruttiva” al collutorio. Per i vari test sui suddetti parametri sono stati utilizzati tre differenti collutori (MoW, mouthwash):
- MoW 1 (“Tantum Verde 0,15% collutorio”, Angelini Pharma S.p.A., Roma, Italy), contenente 0,15% di benzidamina cloridrato e 96% di etanolo;
- MoW 2 (“Tantum Verde Bocca 22,5 mg/15 ml + 7,5 mg/15 ml collutorio”, Angelini Pharma S.p.A., Roma, Italy), contenente 0,15% di benzidamina cloridrato, 0,05% di cetilpiridinio cloruro e 96% di etanolo;
- MoW 3, contente solo etanolo a costituire il placebo.
Per l’articolata metodologia utilizzata e i dati esatti si rimanda alla lettura integrale dell’articolo, disponibile online.
In sintesi, i risultati dell’imaging di bioluminescenza dimostrano in maniera significativa che, rispetto al placebo, benzidamina 0,15%:
- compromette la capacità di Candida albicans di aderire alla plastica: occorrono almeno 5 minuti e fino a 15 minuti di contatto con il fungo (yeast) per rilevare l’effetto anti-adesione (tempi minori per le concentrazioni più elevate – 0,3% e 0,6% – testate in via secondaria);
- inibisce la formazione del biofilm dopo 15 minuti di contatto: dato coerente con quello relativo all’adesione, che è il primo necessario step (anche sui tessuti biologici) della colonizzazione fungina e la conseguente formazione del biofilm con il progressivo switching yeast-hyphae; va comunque sottolineato che, sebbene entrambi i collutori testati (MoW 1 e MoW 2) interferiscano efficacemente con la formazione del biofilm, la significativa statistica (versus placebo) è raggiunta soltanto con MoW 2, a dimostrazione che la combinazione con il cetilpiridinio cloruro (antisettico di provata efficacia) (11) consente una performance
Per verificare l’effetto dei collutori sulla produzione delle molecole QS, queste sono state dosate, dopo 15 minuti di contatto, utilizzando la cromatografia liquida con ionizzazione elettrospray combinata con spettrometria di massa ad alta risoluzione (HPLC‑ESI/HRMS, liquid chromatography–electrospray/ high‑resolution mass spectrometry); si tratta di una tecnica avanzata per rilevare e identificare bassi livelli di composti semivolatili o non volatili, specialmente in matrici di campioni complesse. Si è quindi constatata una significativa drastica riduzione del tirosolo, prodotto dalle ife fungine, con entrambi i MoW allo 0,15% di benzidamina: la riduzione del QS correla con la capacità del FANS di interferire con la formazione del biofilm dimostrata alla bioluminescenza.
In altri termini, la benzidamina danneggia in maniera specifica il sistema QS di Candida albicans, in tal modo ostacolando la formazione e la progressione del biofilm e si dimostra quindi efficace anche sulla comunità fungina “sessile” e sul micelio maturo, che spontaneamente si formano nell’arco di 24-48 ore. La benzidamina, inoltre, appare in grado di prevenire anche una possibile recidiva (regrowth) in biofilm “sterilizzati” e incubati fino a 48 ore in mezzo di coltura fresco. Anche in questo caso gli effetti terapeutici sono massimi con la combinazione benzidamina-cetilpiridinio cloruro (MoW 2). Da notare che tali effetti sono indipendenti dalla vitalità delle cellule fungine: i collutori testati non riducono le unità formanti colonie (CFU, colony-forming units).
Gli Autori dello studio speculano quindi che i collutori a base di benzidamina non distruggono le cellule fungine, ma ne mitigano notevolmente la virulenza; in altri termini, benzidamina (senza/con cetilpiridinio cloruro) appare in grado di indurre un reverse switch favorevole da ife a yeast, ovvero di far ritornare Candida albicans un innocuo commensale (saprofita).
I risultati dello studio hanno potenziali implicazioni cliniche di assoluto interesse. I collutori contenenti benzidamina appaiono infatti in grado di contrastare il biofilm che Candida albicans crea per difendersi dal sistema immunitario dell’ospite e “ripararsi” dai farmaci antifungini (ad esempio, fluconazolo e amfotericina B (4)) e anche da disinfettanti come la clorexidina, di comune impiego in odontoiatria (9). I dati in vitro aprono alla possibilità che, all’occorrenza, gli effetti benzidamina-mediati possono essere d’aiuto nel prevenire la colonizzazione fungina del cavo orale, in particolare in soggetti come gli anziani portatori di protesi che spesso sviluppano candidosi.
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